Abdon Alinovi è stato un dirigente di quel Pci che a Napoli visse la stagione delle grandi affermazioni, dalla metà degli anni ‘70 in avanti. «Non voglio sembrare nostalgico ma passammo dall’8% al 40 e non per una comparsata in tv o per un’azione mediatica». Si lavorava duramente sul territorio, come usava dire, e il leaderismo di oggi «non aveva tolto ancora il protagonismo ai collettivi sociali».
Il politico, che è stato anche presidente della Commissione Antimafia, affronta con l’antico vigore la situazione di Napoli e della Campania «su cui si sta facendo molto chiasso». Ma anche quella, più in generale, del Pd.
Il sindaco e il presidente della Regione sono nell’occhio del ciclone. Lei come commenta questa situazione? «Non metterei mai in discussione l’onorabilità personale se non ci sono prove provate. Critiche ne ho sempre fatte ma nel giudicare un periodo così lungo come quello vissuto da Bassolino, sindaco e poi governatore, ci andrei con una certa cautela. Ci sono ombre ma anche luci. Questo pressing di dimissioni verso la Iervolino, verso Bassolino, è sbagliato. Il partito deve fare la sua parte, se ne è capace. Ora deve individuare le necessarie modifiche di percorso. Napolitano ha fatto sentire il suo monito rivolto al Sud ma anche a tutto il Paese. È grave che questo richiamo sia dovuto venire dal Capo dello Stato. Doveva essere l’ispirazione di una normale agenda del gruppo dirigente di un partito di sinistra, democratico, in cui i leader non possono un giorno esaltare acriticamente Bassolino o un altro esponente di un’amministrazione e poi magari, qualche mese dopo, abbattere le statue che hanno eretto».
Cosa salva? «Non posso non tener conto che il piano di trasporti della metropolitana regionale è una cosa su cui storicamente noi abbiamo fatto una battaglia dagli anni ‘50, ma anche il disinquinamento del bacino del golfo. Invece sulla “monnezza” c’è stato un ritardo storico, gravissimo, ma il modo come Berlusconi sta affrontando il problema risolve nell’immediato ma alla lunga non so se reggerà perché non avvia un sistema che trasformi i rifiuti, che sono un problema nazionale, in una risorsa».
Esiste una questione morale nel Pd? «Certo. Il Partito Democratico non è fuori dalla vicenda politica attuale ed è un prodotto di questa infinita e contraddittoria transizione che fortunatamente non è conclusa perchè oggi forse si può cominciare a fissare le coordinate di un cambiamento che parta da un forte impegno su quella che è la crisi globale che in Italia avrà caratteri esplosivi».
Gli eredi di Berlinguer si debbono difendere dagli attacchi di Berlusconi. «È un paradosso che mi rende triste. Ho apprezzato la copertina dell’Unità e noto, purtroppo, che gli epigoni del Pci hanno dimenticato Berlinguer. Peggio lo hanno santificato in un Pantheon con Gramsci cancellando tutto il resto e facendo anche una concessione a Craxi. Il cambiamento era necessario però esigeva il fare i conti criticamente con il passato di cui questo gruppo dirigente era parte. Chiamerei in causa anche i cattolici confluiti nel Pd, Prodi incluso, dimenticando il meglio della Dc. Mentre i più zelanti craxisti ora sono ministri del governo Berlusconi».
Bisogna misurarsi con questa destra? «Questa destra è stata considerata come il necessario interlocutore nella cosiddetta alternanza per arrivare alla democrazia normale. Ma questa non è una destra normale, non è una destra liberal conservatrice. Si è formata sul ceppo di interessi torbidi, non certo su uno sviluppo produttivo ma su affari che hanno usato la politica e che hanno avuto anche collegamenti con gruppi criminali».
L’ipotesi di una lista bipartisan in caso di voto anticipato? «Mi disgusta. Spero che nella sinistra democratica di Napoli ci sia la forza per respingerla e per trovare un ricambio effettivo, serio e dotato di grande moralità».
di Marcella Ciarnelli - l'Unità 9 dicembre 2008
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