giovedì 13 novembre 2008

Fare un golpe e farla franca


G8 di Genova venerdì 20 e domenica 22 luglio 2001
Oggi la sentenza sul massacro della Diaz

IN SERATA DOVREBBE ARRIVARE LA SENTENZA PER IL BLITZ NELLA SCUOLA DIAZ DURANTE IL G8 DI GENOVA. I PM HANNO CHIESTO 109 ANNI PER 28 IMPUTATI. TRA DI LORO L´EX SISDE LUPERI E GRATTERI, AL VERTICE DELL'ANTITERRORISMO. IN AULA SARANNO PRESENTI MOLTE DELLE 93 VITTIME. TRA DI LORO MARK COVELL, GIORNALISTA INGLESE DI 40 ANNI PRESENTE NELLA SCUOLA DURANTE L'IRRUZIONE NELLA SCUOLA, CHE HA RICOSTRUITO TUTTO IL PERCORSO FATTO DALLE MOLOTOV: QUELLA CHE POTREBBE ESSERE LA «REGINA» DELLE PROVE FALSE

GENOVA - Tutto suggerisce che la sentenza sarà letta al più tardi questa sera, in un tribunale che si annuncia affollato e sorvegliatissimo dalle forze dell´ordine. La prima sezione, presieduta da Gabrio Barone, si riunirà in camera di consiglio intorno a mezzogiorno.

Per il blitz nella scuola Diaz gli imputati sono 29, tra agenti e super-poliziotti: i pm Enrico Zucca e Francesco Cardona Albini hanno chiesto la assoluzione di un commissario di cui «non è certa la presenza nell´istituto», e 28 condanne a complessivi 109 anni e 9 mesi di reclusione. Per aver massacrato delle persone inermi, per averle arrestate illegalmente e con prove false.

Sotto accusa ci sono alcuni tra i nomi più noti del ministero dell´Interno: Francesco Gratteri, oggi al vertice dell´Antiterrorismo, Giovanni Luperi, attuale capo dell´Aisi, l´ex Sisde, e Gilberto Caldarozzi, tra i protagonisti della cattura di Bernardo Provenzano.
Intanto Fausto Bertinotti racconta una sua telefonata con il capo della polizia di allora, Gianni De Gennaro: "Cosa vuole che faccia, quella non e´ un´ambasciata... Non c´è extraterritorialità. Quello che sta avvenendo è una sorta di controllo del territorio. Non le posso dire altro, ma non mi può chiedere una protezione come fosse un´ambasciata". Bertinotti, che era allora segretario di Rifondazione Comunista, dà la sua testimonianza in un film-inchiesta di Beppe Cremagnani, Enrico Deaglio e Mario Portanova dal titolo "Fare un golpe e farla franca".
Un estratto dell´intervista è on line sul sito Repubblica.it. Stamani saranno presenti molte delle 93 vittime. Tra di loro Mark Covell, giornalista inglese di 40 anni. Che nel 2006, nell´aula del tribunale di Genova, mentre raccontava di come i poliziotti l´avevano quasi ammazzato a calci e bastonate, ha scorto il sorriso sprezzante di alcuni difensori degli imputati. Non riusciva a trattenere le lacrime, e intanto gli altri ridevano. La rabbia, la frustrazione, e un´inquietudine improvvisa: quella di non riuscire un giorno ad avere giustizia.
È così che ha deciso di trasformarsi in un detective. Ha raccolto tutto il materiale video e fotografico della notte maledetta, è tornato nella sua città e con la collaborazione di una quindicina di tecnici ha lavorato giorno e notte a quella che ha ribattezzato la London Investigation. Oggi è in grado di raccontare tutto il percorso fatto dalle molotov.
Le due bottiglie incendiarie portate dalle forze dell´ordine all´interno della Diaz dopo il blitz per «giustificare» il massacro e l´arresto, sostenendo che i no-global erano in realtà pericolosi Black Bloc. La «regina» delle prove false. Covell è riuscito ad isolare il fotogramma-simbolo di una delle pagine più nere nella storia della Polizia di Stato: il cortile della scuola, le sagome di due funzionari che si allontanano, e sullo sfondo a sinistra il profilo di un uomo sulla soglia dell´ingresso laterale. Di spalle, in borghese, con un casco protettivo.
Nella mano sinistra stringe qualcosa. Il sacchetto con le bottiglie.Le fotografie sono state depositate recentemente dalle parte civili e non fanno che reiterare le accuse della procura. «Voglio giustizia. Vogliamo giustizia. Perché le cose che sono accadute a noi della Diaz non debbano accadere a voi, un giorno». Mark Covell il giornalista, la vittima, il detective mostra ora una fotografia dietro l´altra. Indica questo e quel video, analizza ogni secondo di quei minuti drammatici e cita le rare testimonianze degli imputati. Mette insieme fotografie, filmati e verbali: «Questo è Gratteri che telefona e si avvicina all´ingresso. Ora vedete? Mortola al cellulare. Burgio, l´agente che materialmente porta le molotov fino al cortile della scuola. Poi Troiani che parla con gli altri super-poliziotti. Luperi che mostra il sacchetto. Ed eccolo ancora qui, dentro la scuola: spuntano le molotov, stanno per sistemarle su quel lenzuolo dove metteranno in mostra tutte le cose sequestrate». Luperi giurò di aver chiamato una funzionaria, Daniela Mengoni. Affidò a lei, nel cortile, le molotov. La Mengoni a sua volta disse di averle passate ad un misterioso ispettore della Digos di Napoli. Uno che non fu mai identificato. «Ma la Mengoni non appare mai nel cortile. E anche quella dell´ispettore di Napoli, che nessuno ha identificato, è una sporca bugia».
Un gruppo di «celerini» lo aveva assalito mentre si trovava in via Battisti, a cinquanta metri dalla scuola. Cominciava la «carica» alla Diaz. Inutile mostrare l´accredito da giornalista. Era rimasto agonizzante sulla strada per venti minuti. Quasi tutti i funzionari sotto accusa raccontarono di non essersi resi conto di quello che stava accadendo dentro la scuola. Però Mark si rifiutarono di vederlo. Più tardi in ospedale fu arrestato. Sostenendo che era dentro la scuola. Stamani vuole giustizia. E non si arrende. «Ho trovato altre immagini. E troverò anche il nome di quelli che mi volevano uccidere».
di Massimo Calandri
la Repubblica 13 Novembre 2008

clicca per il dossier completo MASSACRO ALLA DIAZ di Repubblica

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