domenica 26 ottobre 2008

Pd-day, un popolo in marcia (25 Ottobre 2008)

Gli organizzatori: due milioni e mezzo di persone al Circo MassimoManifestazione "per" i diritti, il lavoro, il sapere.
Veltroni: "Festa per la democrazia"
Il segretario fa a piedi tutto il corteo. Poi parla per 50 minuti:

ROMA - Un popolo in marcia. Col passo lento, di chi sa che sarà lunga, e anche dura, ma che spera. E ci crede, nonostante tutto: le sconfitte, le liti tra i leader, i boicottaggi interni, le resistenze di quella razza speciale che si chiama ceto politico, nonostante un paese che culturalmente sembra aver perso gusto, senso, sensibilità, tolleranza, valori. Il popolo del Pd si è rimesso in marcia oggi, ha ripreso il filo di quel discorso cominciato il 14 ottobre di un anno fa in coda ai gazebo e l'ha srotolato di nuovo oggi da tutte le città e dai paesi d'Italia per portarlo passo dopo passo, lungo i vicoli della Roma più antica, fino all'arena del Circo Massimo. "
Due milioni e mezzo" dicono dal grande palco che si apre su una distesa di bandiere e pallconcini bianchi, rossi e verdi. La guerra dei numeri è inutile, conta il colpo d'occhio, e quello è maestoso, a tratti biblico. Se per Cofferati furono tre milioni in difesa dell'articolo 18 cinque anni fa e per Berlusconi, due anni fa, due milioni contro il "regime" del governo Prodi, il colpo d'occhio oggi ne conta tanti, tantissimi, molti di più delle previsioni della vigilia e delle iatture invocate dalla maggioranza.
I numeri, se volete, metteteli voi. Un fatto è certo: quella che è qui oggi è "un'Italia assai migliore di quella che la governa" come dice un emozionato Veltroni quando raggiunge il suo palco "speciale", scenograficamente quasi sorretto dalla folla, alle 16 e 55 minuti. Quella che è qui oggi è un'Italia che chiede, pretende, desidera nonostante non le siano ancora state date risposte.
Un popolo non "incazzato" come dice qualcuno, bensì serenamente consapevole che così non si può andare avanti. Un popolo che non urla, non insulta, ha le idee chiare sul contesto generale, non chiede la luna ma quello che gli è dovuto: "Sapere, lavoro, diritti". Un popolo che oggi è stato protagonista, forse più dei suoi leader. "La sinistra non è democratica" riesce a commentare Berlusconi dalla trasferta cinese. Forse si riferiva al fatto che i cortei così numerosi hanno tracimato fino a sovvertire ogni ordine e grado, gli striscioni di testa sono rimasti a metà e Veltroni e il suo governo-ombra un gruppo tra i tanti.
Il gioioso caos dei cortei. Erano due, concentramento in piazza Esedra per chi veniva dalla stazione con i treni speciali; piazzale dei Partigiani per chi è arrivato con pullman e traghetti. Dovevano partire alle 14. Si sono dovuti mettere in marcia almeno venti minuti prima perché già a mezzogiorno e mezzo entrambe le piazze traboccano. In piazza Esedra, ad esempio, i camion con la musica - Jim Morrison e Beatles e Viva la vida dei Cold Play a palla - si avviano verso via Cavour ben prima dell'arrivo del leader.
Veltroni e D'Alema si mostrano insieme in piazzale dei Partigiani poi si dividono idealmente le piazze: il segretario in piazza Esedra, concentramento storico delle manifestazioni nella capitale; D'Alema resta in piazzale dei Partigiani. Il Pd ha messo in servizio 4000 persone per il servizio d'ordine. Il rischio infiltrazioni e provocatori è sempre alto, ancora di più lo è in una manifestazione di partito. Abbondare, quindi, non guasta. Ma divise e camionette restano nascoste tutto il giorno.
Dietro gli striscioni non c'è rabbia né astio, ci sono invece ironia e sarcasmo, facce che si mostrano e parlano. Un caos disordinato che si rompe nelle stradine del centro di Roma per confluire ordinato composto e allegro, tra i negozi aperti, le macchine in sosta e i cantieri fino al Circo Massimo. Peccato per gli striscioni di apertura che restano invece indietro, mescolati tra la folla. "Noi abbiamo il dovere morale di mantenere in vita tutte le libertà conquistate per i nostri figli e per i nostri nipoti, di conservarle, valorizzarle e difenderle" recita quello che ricorda Leopoldo Elia. "Pensare agli altri oltre che a se stessi, al futuro oltre che al presente" è scritto su un altro firmato da Vittorio Foa. Frasi che occuperanno, poi, il grande palco del Circo Massimo,e saranno comunque protagoniste di una giornata molto speciale.
Le facce, gli slogan, scuola, istruzione ma non solo. Sarà una manifestazione "democratica" aveva promesso Veltroni durante la vigilia via via sempre più tesa per la crisi internazionale e per le previsioni della maggioranza. I rischi di un flop c'erano tutti: una manifestazione di partito, di un partito nuovo e per qualcuno ancora troppo leggero, diviso e incerto nella sua identità e nel modo di fare opposizione. La piazza ha fugato dubbi e timori e ha consegnato certezze. Perché le istanze di un partito, di una parte quindi, sono diventate i princìpi in nome dei quali un popolo intero di giovani, vecchi, bambini, studenti, professionisti e extracomunitari scende in piazza. Giancarlo Miliani, 63 anni, è vestito con grembiule e fiocco azzurro: "Ripetente a vita per via della condotta" spiega. Eligio Grigolato, 82 anni, propone "Berlusconi santo subito, l'unico modo per levarcelo di torno". L'Arcigay, finora così critica col Pd, è in piazza con il suo presidente Aurelio Mancuso e quello onorario Franco Grillini: "Siamo qui per ascoltare Veltroni". Per i due si registra un successo personale di saluti, baci e abbracci. Pescara sfila con una magnifico asino e la scritta: "Più tagli e più ragli". La Sicilia chiede "più sud, più sapere e più salari". I cartelli puntano il dito contro il governo Berlusconi "ladro di futuro". Marco, studente della Luiss, urla dal camion: "Facciamo ripartire l'Italia, facciamo sentire la nostra voce..." e poi "come together...". Luca, Gloria, Alessio, Daniela, studenti di Arezzo, si sono fatti il cartello in casa:
"Berlusconi a forza di decreti umilia il Parlamento, ormai non ha più segreti, lo vuol d'allevamento".
La scuola, l'università e i tagli del decreto Gelmini sono "il" problema anche se non è arrivata fin qua, come qualcuno pensava, la marea degli studenti che occupano scuole e università dal nord al sud. L'Onda resta a parte, non si mescola ma c'è: "Gelmini, Tremonti, rifate tutti i conti". Ma non c'è solo la scuola. Sfilano gli striscioni delle regioni - possente il blocco toscano - e quello delle donne: "Con il lavoro delle donne cresce l'Italia". Il popolo è in marcia per la giustizia: "Il Lodo Alfano non avrebbe cittadinanza neppure in Africa"; "Farsi processare è onorevole". "Siamo nel Pd perché sognamo un mondo migliore" dice il blocco in arrivo da Milano nord. Un popolo in marcia di tutte le età. I più piccoli, marcianti, sono forse Angelo, tre anni e mezzo, e sua sorella Rossella avvolti nelle bandiere del Pd. Giorgio, Rachele e Camilla, 5 e 6 anni, indossano sorridendo e saltando i loro cartelli: "Un maestro e 30 grembiuli", "Gelmini 5 in condotta", "Ridateci il futuro". Altri, due passi indietro, chiedono di "non divorziare da Di Pietro, che altrimenti noi si divorzia da Veltroni". Anche l'ex pm è al Circo Massimo a raccogliere firme contro il Lodo Alfano. I Verdi e il loro leader Grazia Francescato, unico pezzo dela vecchia sinistra arcobaleno, camminano nel corteo. "Che spettacolo meraviglioso per la democrazia". Veltroni è un leader che conosce la potenza dei simboli. Questo appuntamento del 25 ottobre racchiudeva per lui molte sfide, alcune anche finali. Altri, poi, diranno se le ha vinte o perse. Di certo ancora una volta ha funzionato il suo personalissimo potere di convocazione delle masse e ha azzeccato i simboli. Berlusconi lo invidia tanto per questo. Il segretario ha sfidato il Circo Massimo e ha voluto almeno fisicamente ricoprire, cucire la distanza che si è creata in questi mesi tra lui e il suo popolo. Ecco che il palco da cui parla non è il grande palco sullo sfondo - su quello resteranno deputati e senatori del Pd - ma un piccolo podio distaccato, in avanti, idealmente e fisicamente in mezzo alle persone. Visto dall'alto Veltroni sembra quasi issato dalla gente, figura che emerge e parla a una platea sterminata, immagine biblica, non l'unica della giornata.
Il segretario parla per 50 minuti, felice, emozionato, sollevato perché più numeroso di così il popolo del Pd non poteva essere. In apertura snocciola una sfilza di grazie ("a voi che siete tantissimi, ai volontari, alle forze dell'ordine..."). Poi l'elogio di questo popolo e dei suoi padri, da Gobetti ai fratelli Rosselli, fino a Elia e Foa. Infine un unico e continuato attacco a testa bassa all'opera del governo Berlusconi "incapace di dichiararsi antifascista" e "inadeguato a fronteggiare la crisi economica perché non ha nel cuore l'Italia che produce e soffre". Quella dei precari "a quattro euro l'ora", di chi "ha un reddito di 25 mila euro, tre figli e non ha più nemmeno il sussidio deciso dal governo Prodi", dei pensionati, degli insegnanti e degli studenti "la cui protesta è giusta, libera e responsabile, pacifica e democratica, senza bandiere di partito né di sindacato". Veltroni dice molti no e strappa altrettanti applausi. E propone: "Il Pd chiederà che siano detassate le tredicesime delle pensioni e degli stipendi più bassi". E ancora: "Il governo deve sospendere o ritirare il decreto Gelmini e avviare un confronto fissando un tempo limite. Non si cambia la scuola contro gli insegnanti e gli studenti". Fini: "Un contributo al dibattito pubblico".
Quello della maggioranza è un coro scontato di critiche e offese al Pd-day, in prima fila, dopo il premier, il portavoce Daniele Capezzone e il capogruppo Fabrizio Cicchitto. Si smarca il presidente della Camera Gianfranco Fini che definisce la giornata "un contributo importante al dibattito politico". Veltroni telefona e ringrazia. Oggi incassa una vittoria. Ha saputo riconvocare il popolo del Pd. Gli ha saputo parlare. Ha sconfitto i tanti, tra i suoi, che lo hanno accusato di non saper fare partito. E persino la pioggia che, appena il segretario ha concluso il discorso al Circo Massimo, ha fatto diventare nero e cupo il cielo sopra Roma. Il popolo del "più grande partito progressista" è arrivato fin qui per dire che c'è e per fare domande. Adesso pretende risposte.
di CLAUDIA FUSANI
la Repubblica

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